mercoledì, maggio 23, 2007

A is for Allah by Yusuf Islam (Cat Stevens)

Dedicato a quei pochi che sanno cosa ha significato questa "canzone" per me in passato e a tutti i ragazzi della moschea "al-nur" di Bologna.
Allah isalmik ya Yusuf!

Regina Spektor - Fidelity

domenica, maggio 20, 2007

RAISED FIST


Sono qui per annunciarvi l'arrivo di un nuovo amico nel canile del Canebianco. Sebbene lui ci tenga moltissimo alla privacy e non voglia che si parli di lui ma solo di ciò che dice, mi sento comunque in dovere di fare una piccola nota introduttiva e di "lanciarlo" un po' per quello che posso.
Come il nome che si è scelto fa facilmente intuire il ragazzo è leggerissimamente schierato, ma questo tuttavia non gli impedisce di fare anche delle digressioni utili anche per tutti coloro che non la pensano come lui. Vi capiterà spesso di trovare nel suo blog posts molto attenti al sociale e alle questioni di attualità, anche da lui sarà difficile che troviate spunto per qualche grassa risata ma d'altronde sa bene anche lui che l'offerta clownistica è ampiamente colmata da altri blogs nella rete.
Insomma, ha appena iniziato quindi non mi sento di dire che lo troverete fantastico, sicuramente per i quattro cani che giungono a leggere il canebianco l'amico pugnosorgente (cristo la traduzione in italiano è quasi più triste del mio) rappresenterà una decente alternativa, o almento spero, anche perché per i prossimi mesi non potrò postare frequentemente quanto vorrei.
Che dire, buona fortuna Red, facci piangere e facci incazzare ma, un consiglio, non dimenticare mai l'ironia.

Bau!

venerdì, maggio 18, 2007

WORK IN PROGRESS



A chi tra voi pensava che l'impatto col mondo del lavoro mi avrebbe stroncato, sono qui per rassicurarlo. Certo tornare ad alzarsi alle sette quando prima se ti alzavi alle nove dicevi che quella mattina ti eri alzato presto, è qualcosa che già dal primo giorno si è fatta sentire ma per fortuna c'è san caffè e il momento critico dell'alzataccia passa in pochi minuti.
Ieri mi sono trovato in ufficio mezz'ora prima del lavoro e forse ha già fatto la figura del lecchino, comunque oggi mi regolerò meglio anche perché con il rimborso spese da fame che ho gli straordinari risulterbbero davvero ridicoli.
L'ambiente nel quale mi sono trovato è, salvo repentini cambiamenti dovuto a un destino sadico e cinico, tranquillo e cordiale: tutti sembrano tollerare la mia presenza, per ora quasi del tutto parassitaria, con relativa tranquillità. Ieri mi hanno già affidato un lavoretto e mi sono già sentito meglio. C'è anche un altro stagaire (si perché dire stageista adesso non va più di moda a quanto pare) con il quale spesso ci lanciamo occhiate reciproche ed entrambi pensiamo: "ecco, anche lui non ci sta capendo una mazza, beh dai, allora non sono proprio del tutto ritardato".
Il nostro ufficio, trattando con la clientela estera è composto da una varietà altissima di tipologie di persone: gente proveniente da ogni parte d' Italia e del mondo, lingue che rimbombano da una parte all'altra dell'ufficio che se chiudi gli occhi ti sembra di stare in un aeroporto.
Sull'aspetto mensa, beh, mi limito a dire che sembra roba sana, e questo lascia immaginare come possa essere il sapore, da questo punto di vista sembra di essere tornati al tempo pieno della prima elementare.
Ora scappo che mi aspetta un altro giorno di trabaco, a presto le ulteriori novità sulla nuova vita del cane bianco.

Bau!

giovedì, maggio 10, 2007

Germano Mosconi e il Papa

A chi dovesse trovare questo post scandaloso o irrispettoso del Supremo Pontefici, vorrei ricordare che questi è, prima di ogni altra cosa, un capo di stato estero, un capo di stato estero che per di più ingerisce in maniera spaventosa sulla politica interna dell'Italia il nostro paese. La Città del Vaticano è una teocrazia e come tale poggia il proprio potere, sia in politica interna che nell'ingerenza della politica interna di altri paesi, sulla trascendenza e il concetto di Dio.
Pertanto una satira efficacie e libera, che per principio è auspicabile in democrazia nei confronti di qualsiasi capo di stato, può naturalmente prendere di mira anche il concetto stesso sul quale si basa il potere e il diritto che sorregge un regime che, nel caso della Città del Vaticano, è rappresentato appunto da Dio.
Coloro che inorridiscono riflettano comunque su quanto sia passata come legittima da parte dei nostri politici la satira nei confronti di altre religioni (magliette di Calderoli sul Profeta Maometto in primis e che per i mussulmani costituisce una vera bestemmia) e comunque collocabile all'interno del dibattito politico mentre, invece una bestemmia diretta nei confronti del Dio Cattolico non sia nemmeno immaginabile anche da coloro che si professano laici.
C'è un grosso problema di sudditanza psicologica, prima che politica, dal capo di stato del Vaticano e da tutto il suo network, vediamo di liberarcene.
Questo post è rivolto principalmente a coloro che si reputano atei o comunque laici per farli riflettere.
A coloro che si reputano cattolici dico solo: "ma che cazzo ci state facendo in questo blog?"

Bau!

The Black Keys - 10 A.M. Automatic music video

In america lo chiamano "bassism" il suonare senza l'ausilio di basso. Solo i musicisti più virtuosi riescono a farne a meno.
Questi due ragazzi di Akron, Ohio, ci hanno riportato il Blues/Rock più autentico.
Thanks Guys!
Bau!

martedì, maggio 08, 2007


Trasporti Speciali
Prendo il testimone da Formaldeide 77 e proseguo il racconto.

Giovandone viveva alla periferia di “Chiuso” nel suo capannone, all’esterno un’insegna: TRASPORTI SPECIALI.

Nessuno sapeva bene quale fosse la storia di Giovannone, ne quale fosse la sua età, in paese si mormorava che fosse figlio di una badante ucraina rimasta miracolosamente incinta da un suo assistito, si dice che dopo averlo dato alla luce se la fosse battuta come era usanza dalle sue parti, lasciando il pargolo come unico erede di quel vecchio tisico che come unica proprietà aveva quel capannone e un camion per trasporti speciali.

Per gli abitanti di Chiuso Giovannone era un viaggiatore dell’ignoto, una sorta di Marco Polo che si recava spesso, per questioni di lavoro, al di là del mondo conosciuto, che poi era Chiuso stesso.

E si, perché di trasporti speciali nella piccola cittadina ce n’era veramente poco bisogno e Big John, come lo chiamavano oltre frontiera, era costretto a recarsi ovunque ci fosse qualcosa di mastodontico da trasportare, fosse anche in Cina.

Quel giorno Giovannone stava riparando il suo camion, gocce d’olio a ritmo costante che cadevano dalla gigantesca coppa sotto l’asse di traino, avevano ritinteggiato di nero quasi tutta la sua tuta da lavoro ed ora, appiattito come era sotto la gigantesca motrice dava l’impressione di essere una gigantesca salamandra antropomorfa.

Squilla il telefono e Giovannone prontamente bestemmia. “Non c’è nessuno, non c’è nessuno” urla all’aria immobile come se ci fosse qualcun altro nell’officina con lui che si appresta a rispondere. Ma non c’è nessuno, per un attimo la salamandra si era dimenticata di essere un animale solitario.

Dopo cinque minuti di incessanti squilli, prima che la sua testa inizi a dargli allucinazioni per sonore per il resto della giornata, il nostro autotrasportatore di eventi speciali scivola imprevedibilmente fulmineo da sotto il camion e con altrettanta inaspettata agilità, con un unico gesto si alza e agguanta il telefono.

“Trasporti Speciali Rickter” e poi silenzio. Dall’altra parte una voce grassa e piena, come se provenisse da una bocca costantemente riempita da un boccone di cibo, gli fa: “Giovannone, sono Spadino! Ti ricordi? Al doposcuola, tiravamo i sassi alle suore”

“Spada ciao, scusa se non scodinzolo dalla gioia ma sono murato di lavoro, dato che non ci sentiamo da dodici anni immagino tu abbia chiamato perché hai bisogno di me quindi, se non ti dispiace, passiamo subito al sodo”

Dall’altra parte qualche secondo di silenzio, poi un singulto, poi una pausa e poi una schiarita di voce che deve aver prodotto una palla di catarro nell’imboccatura della trachea perché per qualche secondo Spadino tossisce convulsamente. “Scusami, ho bisogno del tuo camion per un trasporto “speciale”

“Ok, dimmi solo per quando ti serve e le misure della zavorra” lo interrompe subito Giovannone.

“Domattina, le misure sono 3 mt per due circa”.

“Queste dimensioni non sono da trasporto speciale Spadino, non devi chiamare, prova da Franco sulla statale lui ha un rimorchio normale”

“No giovannone ho bisogno di te, non si tratta di un trasporto qualunque ma di una bara, una bara, diciamo così, fuori misura.”

Giovannone strabuzza gli occhi, inspira profondamente e repentino, con una mano va ad agguantarsi saldamente i testicoli, come da migliore tradizione: “ma stai scherzando, cosa ti salta in mente Spada! Questa è roba da becchini, io non trasporto cadaveri”

La voce di Spadino ora si fa più profonda e decisa: “non è un cadavere qualsiasi, si tratta di un corpo enorme, il corpo di una donna enorme”

Una donne enorme, pensa Giovannone, enorme come lui che sin da piccolo aveva dovuto convivere con quel maggiorativo del suo nome e con tutte le rime che ad esso si intonavano. Certo gli sfottò dei compagni di scuola erano durati ben poco perché già a nove anni Giovanni il Grande era alto più di un metro e ottanta e aveva le braccia grosse come le gambe della maggior parte dei suoi compagni. Una vita di solitudine era stata l’inevitabile conseguenza di quella mole, di quella apparente indistruttibilità. “Senti mi dispiace per quella poveretta ma io non ho il mezzo adatto e neanche il tempo per fare un servizio del genere” Di ciccione che muoiono è pieno il mondo e certamente non ci sarà un trasporto speciale per ciascuno dei loro funerali, che la facessero a pezzi se non sono in gradi di trasportarla intera.

Dall’altra parte del microfono ora non si sente più nulla, secondi interminabili di silenzio, in un'altra situazione Giovannone avrebbe riagganciato preso com’era dal rimettere in carreggiata il suo bestione a quattro ruote motrici. Ma in quella situazione c’era qualcosa di insolito, i vecchi amici non si rifanno mai vivi per nulla.

“Giovanni, si tratta di Guenda”

Non era tanto stato il nome antico di una vecchia compagna di scuola a procurargli un tonfo al cuore, quanto forse il sentirsi chiamare per la prima volta senza maggiorativi, chi ha inventato i soprannomi deve aver pensato a momenti come questo, nei quali l’assenza del soprannome serve a dare alla conversazione un tono immensamente più profondo.

E infatti Giovanni non può che ridere d’imbarazzo e chiedere: “Guenda? Ma chi la biondina boccoluta con la quale giocavamo a guardarci nelle mutande a scuola?”

“Esattamente” replica prontamente Spadino “solo che ora pesa 140 chili, lavora al supermarket in centro ed è morta”

“….o beh, certo, però è ancora bionda e boccoluta”

La vita non è mai abbastanza lunga per allontanarti definitivamente dalla tua infanzia, passi vent’anni su un camion in giro per il mondo, ti fai una reputazione tra i motel e le osterie di mezza Europa e di metà Asia tanto da dimenticare anche il perché è iniziato tutto questo, per poi essere ricacciato al tempo delle elementari da una telefonata.

“Si, me la ricordo Guen, la valchiria, l’amante di tutti noi pezzenti che non riuscivamo a trovarci una ragazza per via dei brufoli o della ciccia”

Quel corpo flaccido e mastodontico era più conosciuto in paese di quanto il popolo che vive acquattato dietro alle finestre potesse mai immaginare. Molto più amato di quello di tante giovani e più attraenti donne che da Chiuso erano uscite in cerca di quel genere di felicità che molti acquistano in edicola e che ora trascorrevano i loro anni migliori facendo pompini nei sedili posteriori delle automobili blu scuro di uomini sudici, vecchi e importanti.

La verità è che tutti a modo loro, Guenda l’avevano amata e dimenticata e senza nemmeno volerlo fare. Semplicemente la vita aveva offerto ad un certo punto a ciascuno di loro migliori distrazioni e lei era rimasta li, con un registratore di cassa come unico compagno stabile della sua breve esistenza. Non che le importasse molto, lei negli uomini non ci aveva mai creduto, neanche quando uno di loro con una pistola in mano le aveva detto che era carica e che se non avesse svuotato la cassa l’avrebbe fatta fuori.

Ma si sa, ci sono atteggiamenti che adottiamo per tutta la nostra esistenza per proteggerci dagli altri e, quando qualcuno violentemente irrompe nella nostra vita, proprio non possiamo cambiare idea in un secondo. E proprio per un secondo di troppo Guen se n’era andata. L’ennesimo proiettile conficcato nella sua carne ma che stavolta non potrà uscire da dove è entrato.

“Domattina sbrighiamo questa faccenda, ma poi mi devi dimenticare come hai fatto in tutti questi anni Spada, perché io le vostre sfottute facce non le sopporto, non le ho mai sopportate”

“Certo, ti capisco, comunque vedrai che alla processione non ci sarà nessuno del paese, forse soltanto qualche collega di lavoro”

Il corso principale di Chiuso è lastricato con un asfalto così compatto che sembra un’unica lastra di marmo lunga tre chilometri, un marmo grigio circondato da case grigie che alla luce dei lampioni sembrano verdi.

Sparute anime grigie si aggirano per i marciapiedi larghi, puliti e desolati di quella che dovrebbe essere la via più trafficata di una città. Ma Chiuso non è una città qualunque, qui la gente vuole condividere dei luoghi comuni per il puro gusto di non beneficiarne e poter dire: “ho di meglio da fare”

Ma oggi nessuno ha di meglio da fare che spiare da dietro le tende ciò che sta accadendo nel corso.

Un mastodontico autotreno sta occupando per tutta la sua larghezza la strada tanto che neanche una bicicletta potrebbe passargli a fianco per superarlo senza dover salire sul marciapiede. Una musica compulsava si sente provenire ogni cinque secondi più forte dalla cabina di pilotaggio: è blues, Juke Joint Woman dei Watermelon Slim. Sul rimorchio dell’autotreno, al quale è stato tolto il tendone svetta una gigantesca bara rosa, i ragazzi ci devono aver messo tutta la notte per dipingerla e cromarla, è fatta così bene tanto che potrebbe sembrare il macabro optional di una Cadillac appartenente a qualche eccentrico miliardario texano.

Fissare un cadavere non è il modo migliore per sentirsi vivi, questo ve lo dicevo quando vi scoprivo a fissarmi ed ero ancora viva. Ora che sono morta vi dico: guardate pure perché non state che guardando voi stessi.

venerdì, maggio 04, 2007

You Know What The Sun's All About When The Lights Go Out




Sembra essere una condizione innata nell'uomo, e nella donna, quella di capire le cose solo quanto ormai queste ci hanno abbandonato o comunque siamo impossibilitati a riportarle in una condizione ex ante.

Un altro fatto che sembra essere comune per molti uomini, me compreso, è il saper conservare nel lungo periodo solo i ricordi migliori, quelli che ci hanno reso felici o sono stati determinanti per la nostra crescita, eventi che magari non sono stati eclatanti: una stretta di mano, un morso dal panino di qualcuno, il filtro del tè strizzato sul cucchiaino con il filo, lo stesso tè assaggiato da qualcuno che te l'aveva offerto per farti capire che puoi fidarti di lui, fatti che di per se non vogliono dire nulla ma che ci hanno messo in contatto con qualcuno nel momento giusto. Ricordi pieni di sapore che occupano tutto lo spazio di una vita, non lasciando spazio per tutto quello che si chiama routine.
Chi mi conosce bene sa che non ho una buona memoria per i fatti, se li ricordo li ricordo male. I concetti li preferisco di gran lunga perché tengono una gran compagnia e li puoi rigirare come vuoi e più li rigiri più ti fanno godere, come una bella amante insomma.
Spesso mi ritrovo a pensare che quando mi ritrovo con i miei simili e quando i miei simili si ritrovano tra di loro sono sempre più spesso i fatti a farla da padroni nelle conversazioni e se uno a un certo punto prova a tirare fuori un concetto viene subito bollato come lo scassa maroni della situazione.
Certo è che col tempo si finisce per farci l'abitudine e ci si sottomette all'impero del più e del meno ma poi si torna a casa e si scrive un post come questo e di certo non è un bel segno.
Se qualche amico presente alla serata appena passata stesse leggendo ora queste parole non si preoccupi, lui è stato di una compagnia squisita e la serata è stata sicuramente molto piacevole. No, quello che il can-uomo stanotte ulula a se stesso è l'innato malessere di un intellettuale moderno, che si rende conto che ormai è rimasto ben poco da intellegere (da collegare fra se cose diverse) ma c'è rimasto solo da fare e purtroppo nel senso più taylorista del termine, ovvero: assemblare.
La sensazione è che questo mezzo sofisticato di cui tutti ci vantiamo, che io stesso sto usando in questo momento e che si chiama comunicazione verbale sembra in procinto di esaurire la sua primordiale funzione, il trasferire conoscenza. Non perché questa sia arrivata ormai al suo apice ma per il semplice fatto che non interessa più a nessuno se non nel senso più strettamente tecnico del termine.
La tecnica a completamente soppiantato la comunicazione tanto che siamo arrivati ad usare tecnicismi anche per esprimere e spiegare i nostri sentimenti. Non sappiamo una benemerita mazza di nulla ma siamo convinti di avere il totale controllo delle nostre esistenze. Siamo ancora nella caverna di Platone a guardare le ombre riflesse dalla vita reale e a credere che quello sia il mondo tanto che se qualcuno ci proponesse di uscire fuori dalla caverna e vedere l'altra faccia della verità, lo guarderemo con occhi malvagi e gli sibileremmo di andarsene.
Ok, a questo punto molti di voi staranno già dicendo: "ecco, al cane gli è partita di nuovo la valvola" e il bello è che hanno ragione. La mia valvola è come quella di un materassino usato da Platinette su una spiaggia di ciottolato rovente: non ha alcuna intenzione di rimanere chiusa.
A questo punto dovrei dare una conclusione a tutto questo ragionamento, dargli una coda, un finale, trarne una qualche deduzione. Invece mi limiterò a chiudere con la stessa frase che ha aperto questo noiosissimo post e che è stata gentilmente offerta dai The Black Keys:

You Know What The Sun's All About When The Lights Go Out

mercoledì, maggio 02, 2007


SANTO SUBITO


Ieri sera sono andato a vederlo dopo tre anni che non ero riuscito mai a trovare i biglietti, si perché a Bologna lui, i riccioli d'argento più amati dagli italiani, fa sempre il tutto esaurito, anche sulla replica che dall'anno scorso ha deciso di regalare in esclusiva al capoluogo emiliano-romagnolo.

Che posso dire: quest'uomo ha il dono di farmi ridere e piangere quasi all'unisono, nel senso che a una sua battuta inizialmente scoppi a ridere ma quando la risata sta ancora risuonando nelle tue guance stai già pensando che di quello che ha detto c'è ben poco di cui ridere.
Come Luttazzi, che probabilmente è nato da una sua costola, anche Grillo è ormai collocabile al di fuori di qualsiasi collocazione politica. Il pubblico era tra i più eterogenei possibile: signore distinte con la testa avvolta in turbanti di permanente a fianco di alcuni superstiti del movimento dark, yuppies e social forum che alternatamente vengono abbracciati per la testa dell'istrione ligure, coppiette di fidanzatini che probabilmente credevano di andare a vedere semplicemente un comico e che si esaltano con gridolini flebili quando scoprono che non è cosi' e vecchi can-uomini come me che non partecipano alle standing ovation in suo onore ma che si ritrovano con le lacrime agli occhi quando lui ci saluta.

Quello che mi fa amare quast' uomo è la sua propositività. Quando condanna qualcosa di marcio subito dopo propone un sistema per combatterla, dal suo cilindro escono sempre nuovi espedienti che per un istante ti fanno intravedere come potrebbe essere il tuo futuro e quello della persona che ti sta accanto. Improvvisamente ti senti catapultato in qualcosa che potrebbe funzionare, internet non è più solamente il sistema per scaricare musica e film gratis e chattare con qualche amico ma diventa una realtà tangibile come quella nella quale tutti noi ci trovavamo li a sentirlo parlare. Ci parla di Second Life e di come in un futuro prossimo ai suoi spettacoli potrà andarci chiunque in ogni parte del mondo stando comodamente a casa propria.
Alla fine usciamo tutti un po' confusi a dire il vero ma con una sensazione chiara e dinamitarda: possiamo fare qualcosa.

Finisco con un consiglio a tutti voi: la prossima volta che dovesse capitare vicino alla vostra città o paese o villaggio....non siate stupidi, non pensate di sapere già cosa vi potrebbe dire perchè semplicemente non potete.
Andate a vedere Beppe Grillo.
Non è un consiglio.

Bau!

martedì, maggio 01, 2007

BLACK SNAKE MOAN



Un vecchio blues man-fruttivendolo dimenticato dal mondo,
una giovane ninfomane, realmente malata
le piantagioni del Tennessee a fare da cornice a questa improbabile debacle in cui sesso, razza e redenzione si mischiano per creare qualcosa che assomiglia più ad un genere cinematografico che ad un film.
Era un po' che vi volevo parlare di questo film che in Italia uscirà probabilmente solo verso la fine dell'anno ma che, grazie a san mulo, sono riuscito a vedere...ehm...diciamo così: in anteprima.

Sebbene il vederlo in lingua originale mi abbia fatto perdere alcune battute e fatto capire quanto sia impagabile il lavoro dei nostri doppiatori nel rendere la comunicabilità degli attori d'oltreoceano così efficacie, devo dire che il film mi è piaciuto anche se tende a cadere più volte nel paradossale.
Compare anche Justin Timberlake ma con un ruolo decisamente ridimensionato rispetto ad Alpha Dog del quale però conferma alcune attitudini recitative.

Samuel J Jackson in inglese è inascoltabile: di tutte le battute che ho perso il 90% sono le sue e considerando che è l'attore protagonista non c'è male. Comunque è bravo e con la sua reinterpretazione del mitico brano "black snake moan" dell'ormai dimenticato Blind Lemon Jefferson (che pare abbia realmente eseguito in un unico ciak e che da il nome alla pellicola) probabilmente avvicinerà molti giovani a questo genere.
In effetti il protagonista del film è proprio il blues, che diviene una terapia, una chiave trascendentale, una tecnica catartica per liberare la giovane dai propri tormenti.
In poche parole questo film rende la musica protagonista assoluta senza scadere nel musical, ci ricorda qual'è il vero compito della musica prima che il business discografico ne stravolgesse completamente i termini e forse in questo senso la presenza di Timberlake è emblematica.

Quando uscirà andate a vedere questo film, anche se non vi piacerà non lo dimenticherete il giorno dopo come solitamente accade. E se anche doveste dimenticare la storia, sicuramente non accadrà la stessa cosa per la sua colonna sonora, in primis "When the lights go out" dei The Balck Keys (favolosi).
Si, voglio dire qualcosa anche su questi due ragazzi dell' Ohio che stanno finalmente portando il blues nella cultura giovanile sradicandolo dal vecchio stereotipo dello schiavo negro che ormai ha veramente avuto il suo tempo e anche da quel Bob Dylan che ormai quando fa un concerto fa più piangere di rabbia che di nostalgia.
Grazie ai Black Keys e ai White Stripes (che personalmente apprezzo di meno ma che sono ugualmente bravi), grazie al blues, la musica degli schiavi, la musica più attuale.

Bau